giovedì 3 maggio 2018

LORO CHI?


“Ma loro chi?”
“Loro, quelli che contano”


Approcciarsi alla materia sociale in cui ancora annaspiamo è opera complessa, e per questo motivo, fin dai titoli di testa, Sorrentino ha scelto di sospendere la ricostruzione storica a favore della resa ideale di un periodo florido, complesso, perverso. Il film è “Loro” e anche “Lui”, il film che dovrebbe avere come protagonista, mattatore indiscusso l’ex capo del governo Berlusconi indugia per buona parte della pellicola sul sistema costruito attorno all’età d’oro dell’imprenditore. Allora un Lui di mussoliniana memoria aleggia nei salotti, nelle feste e nelle sfarzose abitazioni che affacciano su piazza di Spagna; il Suo peso politico ed economico riempie i dialoghi di una schiera di personaggi emuli della grandezza e in cammino verso la punta della piramide sociale. Il generale, l’elemento sociale su cui poggia il film di Sorrentino è proprio una piramide che vede nel suo vertice la figura cardine di Berlusconi e alla base tutti coloro che aderiscono al sistema di appalti, olgettine, favori e ville in Sardegna sperando un giorno di poter scalare questa piramide. Berlusconi è un modello, punto d’arrivo, in ogni momento è garante della sistematicità della piramide pur non essendo realmente al centro di questa o quella questione spinosa, tanto che lo vedremo poi godersi un generoso lasso di tempo nella sua villa in Sardegna durante il governo Prodi del 2006. Il Berlusconi di Sorrentino ha ormai marchiato un certo stile di vita con il suo volto (come si può notare nella prima scena di sesso), la sua immagine è il simbolo di un ventennio e di tutte le più deplorevoli contraddizioni che hanno caratterizzato il nostro popolo. Quindi Loro cerca di raccontare da una parte delle vite più semplici e dissolute che ambiscono a frequentare i luoghi del potere e della cocaina, dall’altra la figura umana e megalomane dell’uomo Silvio, ma soprattutto Sorrentino ha curato la resa di un sistema di ideali e rapporti che per anni ha rappresentato il culmine della nostra società.


Sergio Morra, interpretato da un convincente Riccardo Scamarcio, è il prototipo dell’imprenditore senza scrupoli, avido di fama, ricchezza e soprattutto di potere, che segue una parabola ascensionale per raggiungere Lui e quindi i luoghi della gente che davvero conta. In questo percorso è accompagnato dalla disinibita compagna Tamara e dall’avvenente Kira, una donna molto vicina a Berlusconi. Tra prostituzione, droga e corruzione, la vicenda di Morra lo porterà presto ad un passo dal sogno. Ma ciò che più interessa è la costruzione del mondo che ruota attorno a questi personaggi archetipici: una rete di conoscenze e favori che vanno dalla gara d’appalto per le mense scolastiche alla vita del centro-destra in un momento complesso, dal capo della protezione civile alla tratta del corpo femminile. Sorrentino coglie nel segno, soprattutto perché in linea con il suo stile barocco, quando restituisce l’immagine dell’uso che si è fatto del corpo femminile in questo ventennio. Le soubrette, le veline, le ragazze alla ricerca di un'ascensore sociale, tutti retaggi che ancora oggi cerchiamo di escludere dalla nostra quotidianità e che non possiamo non attribuire al sistema spettacolare di Berlusconi. Se la donna in Italia, dati economici e sociali alla mano, deve ancora compiere il passo decisivo per raggiungere l’uomo lo si deve anche al modello dei primi anni 2000 che ha sicuramente rallentato – e forse anche invertito – in processo già in atto precedentemente. Allora Sorrentino si dedica all’inquadratura di corpi nudi, prestati, ma oggettivati al punto da essere desessualizzati: non c’è trasporto verso un fine nobilissimo come il piacere, ma tutto ciò che definisce all’apparenza una donna è ridotto a mezzucolo per banchettare al tavolo dei vincitori e spartirsi una fetta di questo finito potere. Il corpo della donna non ha più nulla di femminile.


La seconda parte dell’opera, con uno stacco fin troppo grottesco, è dedicata alla figura polarizzante di Lui. Il Berlusconi di Servillo è sui generis e non sembra voler scimmiottare il personaggio pubblico che conosciamo e che abbiamo già rivisto in centinaia di imitazioni, quanto piuttosto dare un’interpretazione personale dell’ideale che noi tutti abbiamo della figura pubblica dell’ex cavaliere. Probabilmente questo era l’unico modo per rendere un contemporaneo collocato in un preciso contesto storico e qualunque altra soluzione avrebbe stonato più di quanto ha fatto l’interpretazione di Servillo.
Il Berlusconi di Sorrentino non è l’uomo disinibito che ha raccontato la stampa italiana, ma vive nella stessa magnificenza di quel fantasma che abbiamo creato negli anni. È il selfmade-man che noi tutti conosciamo e, anche in un momento di stanca, con un matrimonio in crisi e la sinistra al governo, anche nel semplice atto di scrutare i confini della sua proprietà in Sardegna, il Berlusconi di Loro lascia trasparire il potere che è scorso nelle sue vene e quello che ancora dovrà scorrere. È l’uomo che regge una società dietro la società e non potrebbe essere altrimenti.


La narrazione frammentaria tipica del cinema di Sorrentino alterna eventi reali a momenti onirici, con una punta di grottesco a fare da filo conduttore. In alcuni frangenti, la continuità viene interrotta per dare spazio al puro simbolismo che aveva reso celebre La grande bellezza, ma questa particolare tecnica ha bisogno di due elementi: la contestualizzazione, che permette allo spettatore di restare “nella” pellicola, e la giusta dose di ambiguità che rende l’interpretazione non immediata. Nel caso di Loro, Sorrentino fallisce sotto entrambi gli aspetti e le scene più ermetiche – la capra, l’immondizia, la terra che risale dal giardino - risultano loro malgrado ilari, fin troppo chiare nel loro significato più profondo e slegate dal tono e dalla continuità della pellicola. Non sono un amante dei film che procedono per inganni ed indovinelli quando il senso dell’opera sarebbe un altro, ma è innegabile che il livello della costruzione e della scrittura de La grande bellezza è imparagonabile a questo, e ciò denota semplicemente che ci troviamo di fronte all’opera non meglio riuscita di Sorrentino.


Trattare l’argomento del ventennio Berlusconi era una scommessa complessa, eppure il connubio tra singolo e sistema scelto da Sorrentino pare al momento la scelta più intelligente. La prima parte di un film completo si scinde a sua volta in due segmenti, diversi sotto tutti i punti di vista, dalla regia alla fotografia al ritmo. Entrambe le sezioni di Loro 1 mostrano grandi punti a favore e lasciano un senso di disgusto forte dietro le risate a denti stretti, ma, allo stesso modo, entrambe risentono di un problema fondamentale: dove stiamo andando? Qualcosa di già abusato si mischia ad una rivisitazione personale per dare vita ad un montaggio prima frenetico, poi più quieto di una storia senza storia, una serie di eventi che non muovono la narrazione ma mostrano, per un grande esercizio di stile che non arriva alla critica e non sviluppa abbastanza la sua realtà. Su questo giudizio pesa certamente il fatto di trovarsi di fronte al primo tempo di un’opera più imponente, ma nei cento minuti di Loro 1 non vengono poste le basi a sufficienza, non si entra davvero nel vivo della narrazione, non si stuzzica l’intelletto e la fantasia per quanto un film di Sorrentino dovrebbe essere in grado di fare. Un’opera a metà, finora riuscita a metà.

Nessun commento: