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martedì 6 febbraio 2018

THE POST E IL RUOLO DELLA STAMPA

Nel 1971 il New York Times prima e il Washington Post dopo entrarono in possesso dei famosi “quaderni del pentagono” e decisero di rendere pubblici decenni di menzogne perpetrate dal governo americano sulle guerre in Corea e in Vietnam. La ricostruzione storica degli eventi, per quanto accurata e convincente, è un pretesto per entrare nelle falle del nostro presente. Il fulcro del film è attuale: Spielberg tratta due temi sociali che oggi sono quanto mai vivi e scottanti. I due protagonisti si spartiscono il compito di portare avanti tali problematiche: da una parte Kay Graham, proprietaria del Post, tocca il tema della posizione delle donne in ambito lavorativo, mentre il direttore del giornale, Ben Bradley, entra a fondo della questione sul ruolo della stampa nel sistema mediatico. La storia della rivincita sul maschilismo e sulla misoginia della società americana sarebbe certamente interessante da narrare e rielaborare, ma è sull’altra storia - quella sviluppata attraverso il personaggio interpretato da Tom Hanks - che vorrei soffermarmi.


The Post liquida rapidamente le ragioni ovvie di una parte della società rispetto al conflitto vietnamita, perché il film è il racconto di una notte e di una scelta che cambia il corso della storia del giornalismo. La questione non si pone rispetto al comportamento del governo, ma in relazione ai rapporti tra due organi fondamentali del modello liberale. Il problema si manifesta su schermo quando l’amicizia tra Kay, interpretata da Meryl Streep, e il capo di gabinetto della Casa Bianca all’epoca dei fatti svelati dai “quaderni del pentagono” si scontra con i doveri del giornalismo. Il film sottolinea la distanza necessaria tra la politica e il racconto del reale perché la stampa possa assolvere la sua funzione sociale.


La stampa è il Quarto potere e una democrazia che tende ad accentrarsi nelle mani di pochi, che sopravvive grazie alle conoscenze e alle amicizie, che chiude la verità nel cerchio dei soliti noti ha fallito il compito più puro della democrazia, la partecipazione. La stampa - come ribadisce il film in chiusura - è lo strumento attraverso cui il popolo controlla l’operato dei politici. È una funzione dal basso per la sua provenienza e dall’alto per il suo scopo ultimo; è sporca e trasparente, osteggiata e vitale.
La rivolta del Post e degli altri giornali americani contro lo strapotere mediatico di un governo ostruzionista aprì una stagione di slancio ideologico, sulla spinta del ’68. Accessibilità della verità, cooperazione a bilanciare il potere, mutamento sociale. Grande trasporto per una democrazia tangibile in cui ognuno compartecipa della cosa pubblica. Oggi più che mai è necessario riscoprire il valore della parola e la posizione che si deve alla stampa nella scala che va dal primo all’ultimo cittadino.



Una stampa asservita, sensazionalista, rivolta alla parte istintuale dell’uomo, alla ricerca del guadagno più facile, una stampa che rifugge sempre più la sua funzione sociale ha contribuito a generare una democrazia frammentata. La verità è in crisi dietro i proclami di partito nascosti tra le colonne più autorevoli; le fondamenta della ricostruzione civile devono essere i fatti. Una base di fatti su cui non possiamo avere un’opinione che rompa la struttura logica delle cose stesse. L’innovazione tecnologica non ha giovato all’incremento della funzione politica che la stampa ha in grembo fin dal suo concepimento, fin dalla nascita della parola. La stampa è sì propaganda, è anche doxa, ma mantiene sempre saldo un fil rouge con i fatti e proprio attraverso la parola scritta è possibile ritrovare la verità sul reale, sulla politica, sui rapporti sociali. Gli uomini hanno prima abusato del Quarto potere per poi finire a cacciare la verità più sistematicamente efficace. Le ultime scene di The Post toccano l’animo dello spettatore perché sono in grado di mostrare attimi di un mondo ideale in cui la gente coopera per la verità, prima della democrazia del televoto.

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