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sabato 11 novembre 2017

AFMV - THE JACKAL RIMANDATI A SETTEMBRE

Addio Fottuti Musi Verdi, il film dei Jackal, un altro “Film del web”. Difficile scrollarsi di dosso questo appellativo quando anche la critica specializzata antepone il dettaglio dell’origine del gruppo di creativi all’effettivo progetto. I precedenti hanno inevitabilmente condizionato le aspettative verso l’opera prima di Francesco Ebbasta. Anni di Fuga di cervelli, Game Therapy e il meno disprezzabile film dei Pills hanno già condizionato un’opinione pubblica schizofrenica tra la voglia di novità e l’astio verso la bellezza dell’ingenuità. Mi ero ripromesso di mantenere basse le aspettative prima di entrare in sala, ma, dopo le varie proiezioni in anteprima sparse per tutto il paese, e dopo aver riscontrato nel pubblico un’accoglienza positiva, a tratti entusiasta, mi sono lasciato trascinare dalla curiosità e sono entrato in sala con una forte voglia di essere sorpreso.


Il progetto AFMV presentava delle difficoltà fin dalla sua ideazione. I Jackal hanno dovuto tradurre un linguaggio in un medium differente e adattare i tempi comici al grande schermo. Due elementi che insieme fanno la differenza tra la nuova comicità seriale in pillole e il cinema. Alla luce del risultato finale è possibile dire con certezza che il cinema, la settima arte, è in parte presente nel primo film dei Jackal, ma la traslitterazione mediatica ha lasciato indietro troppi elementi significativi perché il progetto possa dirsi riuscito.


I problemi risiedono in larga parte nelle scelte, non nei mezzi. Tecnicamente infatti il film raggiunge un livello invidiabile e la tanto osannata computer grafica rappresenta solo la ciliegina sulla torta della realizzazione complessiva. I difetti di uno script borderline però controbilanciano in negativo i picchi qualitativi. Dopo un esordio scoppiettante, lo sviluppo dell’intreccio va naufragando verso un livello alquanto mediocre, sia nella scrittura dei personaggi e delle loro relazioni che nel dipanarsi della trama principale. Il problema fondamentale del film è la profondità mancante, lo spessore promesso che non raggiunge, per fermarsi prima, nella terra di mezzo tra una riuscita commedia grottesca e un rivedibile film demenziale che lascia il tempo che trova. Il villain sui generis - interpretato dall’eccentrico Roberto Zibetti - risulta inoltre scritto male, pensato per una comicità che non rispecchia il target di riferimento del film, e mal calibrato nel corso dello sviluppo della trama. Questa disparità tra una realizzazione tecnica impeccabile e le succitate difficoltà nell’identificazione di una linea definita da seguire in fase di scrittura lascia l’amaro in bocca, perché per larghi tratti il film diverte e intrattiene, ma mai fino in fondo, perché è l’intero progetto a non spingersi fino in fondo nelle diverse strade tastate con quest’opera prima.


Oltre alcune mancanze, l’errore: il modello è indubbiamente la trilogia del cornetto di Edgar Wright, ma, a differenza di questa, AFMV subisce passivamente troppi salti da un registro comico all’altro. Si passa in pochi secondi dal demenziale alla satira sociale, dal nonsense alla parodia; gli ambiti toccati sono molti e le differenze tra le trovate più originali e quelle meno riuscite è eccessiva. La caratterizzazione di Ciro ad esempio è surreale, ma reale, credibile, vera. Brandon invece è finto, sopra le righe, terribilmente forzato. Le risate arrivano spesso di gusto, ma non si entra mai appieno nel clima e nel ritmo della battuta, perché cambia di continuo il contesto e una scena successiva arriva a smorzare l'ilarità di quella precedente. In questa costruzione psichedelica più che nello sviluppo di una trama lineare si nota il punto di partenza degli autori.



Parlare di cinema è però già un enorme passo avanti nell’ambito della creatività multimediale. AFMV nasce da una grande idea - quella del ragazzo italiano costretto ad emigrare nello spazio per trovare lavoro -, ottiene il suo sviluppo attraverso alcune buone trovate ed altre rivedibili, ma non punge come dovrebbe, come i Jackal sono in grado di fare. Ma, nonostante ciò, la colonizzazione del grande schermo da parte di Ciro e compagni risulta incredibilmente credibile e un’analisi come questa, cinematografica e metacinematografica, ne è la riprova. Il progetto nel suo complesso è da sposare, sostenere e promuovere, anche se, nello specifico di AFMV, i Jackal passano l’esame cinematografico con alcune, forse troppe riserve. Eppure il collettivo di Napoli merita l’esame di riparazione con il seguito di quest’opera prima, un film annunciato e atteso per colmare alcune lacune e confermare la nuova era di questo nostro vecchio cinema. Io aspetto con la stessa voglia che mi aveva preso prima di entrare in sala a vedere AFMV, la voglia di essere stupito.

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