È stato ripetuto diverse volte: la libertà concessa a
Lynch nella realizzazione della sua creatura prediletta sta facendo la
differenza, specialmente se paragonata ai paletti restrittivi della seconda
stagione. Eppure la volontà dell’autore - che come sappiamo era arrivato anche
ad abbandonare il progetto pochi mesi prima dell’inizio delle riprese -
immaginava questo terzo atto come un unico film di diciotto ore. Anche alla
luce della visione che egli stesso ha della sua opera, dobbiamo tendere a
valutare ogni episodio sia autonomamente, perché così ci viene fornito da
Showtime, sia nel complesso di una narrazione univoca. E nella divisione
settimanale che è stata fatta del prodotto finito, attraverso l’escamotage
delle sonate al chiaro della luce soffusa del Bang Bang, è possibile che alcune “Parti”
pecchino di contenuti che mettano la giusta dose di carne al fuoco, e che
invece tendano a privilegiare uno sviluppo circolare, andando a toccare
situazioni marginali. Nonostante una densità minore, questo decimo episodio
offre alcuni contributi interessanti. Proviamo ad approfondirli allontanandoci
da una modalità cronologica.
Il rampollo Horne si è rivelato essere effettivamente il
figlio di Audrey, ma tra malefatte, corruzioni ed estorsioni, della madre neanche
l’ombra. Che fine avrà fatto la piccola e temeraria ragazza che aveva stregato
Coop nella prima stagione? Dopo i primi
due episodi avevamo ipotizzato che Audrey, data la sua disponibilità economica
e il legame che la legava a Cooper, poteva essere la donna dietro l’operazione
della scatola di vetro. Questa teoria aveva poi ottenuto una conferma indiretta
dalle parole del dottor Hayward, che aveva fatto luce sugli avvenimenti
successivi al finale della seconda stagione. Ora però questa teoria potrebbe
crollare nel tempo di un otturatore. Tammy infatti mostra a Gordon e Albert una
foto del doppelganger di Coop nella scatola di vetro. Il mandante dell’operazione
potrebbe essere lo stesso Bob, anche se i suoi metodi, a partire dal prequel,
sono sempre apparsi meno sofisticati e più pragmatici. Da lui è facile
aspettarsi l’organizzazione di un corpo di assassini, meno quella di un sistema
complesso per intercettare lo spirito di Coop verso il terzo doppelganger,
Dougie Jones. Chi si cela allora dietro la scatola di vetro, ma soprattutto,
verso quale parte tende la moralità del clan della scatola?
Il messaggio di Bob a Diane, di cui abbiamo appena
accennato nelle scorse settimane, rivela più di quanto potessimo aspettarci da
un meraviglioso personaggio. Diane, dopo anni passati all’ombra di un
registratore, è riuscita a ritagliarsi una personalità allo stesso tempo
convincente e ambigua. Se abbiamo ormai imparato ad aspettarci dal suo
personaggio alcune battute ricorrenti, alcuni modi di fare, alcuni
atteggiamenti, il suo travagliato passato - che poi l’ha presumibilmente spinta
all’alcolismo - nasconde la reale dimensione del personaggio, che opera un
doppiogioco tra Bob e l’FBI. La soluzione più semplice sarebbe ammettere una
storia d’amore tra Diane e Cooper e quindi giustificare il suo comportamento
nel tentativo di coprire quello che lei crede non essere il suo amante, ma
comunque l’uomo che indossa le spoglie del protagonista. Questa versione
cozzerebbe però con l’idea che Gordon e Albert ci hanno proposto di Diane,
ossia di una personalità che ha delle informazioni sugli eventi di Twin Peaks
ancora celata agli agenti. Coop aveva una corrispondenza diretta con la donna
ed è presumibile che lei abbia tentato di ricostruire il puzzle della battaglia
delle logge, per cui non possiamo accettare che il suo comportamento si fondi
solamente sull’assuefazione dell’immagine. La mia proposta è quella di un
secondo incontro: credo che il confronto tra Diane e Bob in carcere - uno dei
momenti più alti della serie finora - non sia in realtà il primo. Bob potrebbe
aver avvicinato precedentemente la donna, costringendola a collaborare in
cambio dell’incolumità di Coop, o della promessa del ritorno di questo nella figura
fisica di Dougie Jones. Un puzzle intricato che non trova ancora una soluzione,
ma che apre le porte della narrazione ad un doppiogioco già noto, che potrebbe
evolversi in una caccia all’uomo al contrario, nel tentativo di attirare Bob in
una trappola.
Il ritorno della signora Ceppo, in queste condizioni, è
sempre un evento, a prescindere dal contesto. Se poi questo cameo inaspettato porta
con se le conferme di un progetto escatologico, allora il momento televisivo
non può che innalzarsi. “Laura is the one”, è la conferma che aspettavamo per
credere ancora che tutta questa vicenda abbia il suo cuore in Laura Palmer, che
fu la sfera ambrata, la ragazza avvolta nella plastica e che potrebbe tornare
ad essere l’ultimo baluardo della loggia bianca, in attesa del risveglio di
Coop. Quel che è certo è che la storia di Laura deve ancora finire. Il suo
personaggio, di cui è rimasto uno spirito dagli occhi bianchi rinchiuso nella
loggia nera, avrà ancora una rilevanza fondamentale, e questo ci porta a
dedurre che il luogo degli eventi per la conclusione della storia, come
indicato dal maggiore Briggs, potrebbe essere proprio la loggia nera.
Dale Cooper invece, nonostante alcuni siparietti
divertenti, non sembra muoversi verso il cuore degli eventi. È chiaro che
debbano essere gli eventi a raggiungerlo e proprio il ritrovamento della fede
di Dougie Jones nello stomaco del cadavere del maggiore Briggs potrebbe
spostare l’Fbi verso Las Vegas. ma per quale motivo Coop fatica a svegliarsi? Che
possa essere solamente il ricongiungimento dell’anima con il corpo originale a
farlo rinsavire? In ogni caso, visto l’andazzo, immagino la presenza del vero
Cooper possa essere ridotta agli ultimissimi episodi, proprio verso il finale
di questa epopea.
Dopo dieci puntate comincia a farsi sentire il peso dello
stile narrativo lynchiano, che predilige uno sviluppo lento, arricchito da
simboli e richiami che strizzano l’occhio e garantiscono soddisfazione solo a
coloro che sanno coglierli. Noi fan della seconda ora, che all’epoca della
prima messa in onda non eravamo ancora nati, non abbiamo vissuto l’esperienza
diretta, frammentata della prime due stagioni, e non abbiamo potuto provare il
senso di smarrimento che riempie lo spazio vuoto che intercorre tra le diverse
storie. È il senso di sospensione che oggi ci attanaglia e ci fa sperare che
arrivi presto un nuovo capitolo, soprattutto quando l’ultimo non ha cercato di
darci le spiegazioni che andiamo cercando, ma ha fornito altre risposte, ad
altre domande.
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