venerdì 12 maggio 2017

E ALLA FINE ARRIVA ALIEN: COVENANT

Cosa sarebbe dovuto essere “Alien: Covenant”?
Prometheus” aveva lasciato i fan più accaniti con l’amaro in bocca per non aver rispettato le premesse del ritorno del maestro Scott alla regia. Il film del 2012 era stato una grande sorpresa, sia in positivo che in negativo. Un ottimo ma imperfetto film di fantascienza spaziale che non rispettava i cardini della saga di Alien. Con il primo prequel, Ridley Scott aveva cercato di ampliare lo spettro di competenza di un brand realmente limitato in termini di sviluppo narrativo, riuscendoci solo in parte.
“Alien: Covenant” si propone come continuatore della narrazione intrapresa con il suo prequel, ma al contempo come reale predecessore delle avventure del primo film del 1979; un film di Alien insomma, quindi caratterizzato dai classici cliché della saga degli xenomorfi, con un’attenzione particolare allo sviluppo delle vicende.


La storia riprende undici anni dopo la partenza di Elizabeth Shaw e David dalla luna LV-233, teatro delle vicende di “Prometheus”. Stavolta i protagonisti del terrore spaziale sono i membri dell’equipaggio della nave Covenant, che, mentre viaggiano verso Origae-6 al fine di colonizzarlo, si imbattono in una richiesta d’aiuto proveniente da un pianeta vicino. L’equipaggio sceglie di atterrare sul posto per verificare l’origine del segnale, ma qualcosa ha intaccato l’ecosistema del pianeta, sterminando la popolazione autoctona. Tornare sulla nave sarà un’impresa ardua.
Come il più classico degli Alien della quadrilogia originale, anche “Covenant” si costruisce su un crescendo di azione e suspance, incentrato sulla presenza dapprima minima, poi sempre più massiccia degli xenomorfi, che ridurranno immancabilmente il numero dei membri dell’equipaggio. E se la scelta di tornare alla struttura tipica dei film della saga, dopo la parentesi “Prometheus”, potrebbe portare i fan a gioire ancor prima di entrare in sala, “Alien: Covenant” non si cura minimamente di nascondere i suoi enormi difetti. L’esperienza del nuovo film di Scott è segnata infatti da enormi problemi che minano pesantemente la sua riuscita. Primo fra tutti il ritmo: lento, scialbo, altalenante, incapace di ricreare i climax di “Alien” e “Aliens”. Nella prima ora di film - escluso un interessante prologo che collega “Covenant” al suo prequel - Scott non mostra altro che la vita all’intero della nave spaziale, senza però riuscire a dare una caratterizzazione interessante ai vari membri del’equipaggio, che si limitano a intrattenere rapporti statici e stereotipati, senza che la trama decolli. E questa pesantezza ingiustificata delle prima metà del film si fa sentire eccome in sala, spegnendo in poco tempo l’interesse verso l’intero progetto.


Altro enorme problema del film è, come già accennato, la caratterizzazione dei personaggi dell’equipaggio, i quali si presentano, probabilmente al pari dei protagonisti di “Alien - la clonazione”, come i meno interessanti dell’intero franchise. Non riescono a raggiungere un livello accettabile e si stabilizzano su un modello stereotipato, improponibile per il 2017, per un film costato oltre 100 milioni di dollari. Inoltre non subiscono alcuno sviluppo, nonostante la pellicola si apra con la tragica scomparsa del comandante - evento traumatico che, in teoria, avrebbe dovuto smuovere le coscienze di parte dell’equipaggio verso una nuova consapevolezza. I protagonisti della prima scena, sono gli stessi del sessantesimo minuti, che sono gli stessi dell’ultima scena, almeno per quelli che restano in vita, perché la maggior parte di loro finisce per essere solamente carne da macello nella minestra splatter-horror. E questa caratterizzazione fallace non aiuta lo sviluppo piatto e prevedibile di una storia già vista, narrata con sciatteria, che ritrova solo nei riferimenti a “Prometheus” in suo senso d’esistere. Una narrazione che si muove grazie a forzature, eventi improponibili e scelte dei protagonisti totalmente campate in aria, per poi culminare in un finale scontato, antiadrenalinico.
Il collegamento diretto con “Prometheus”, ventilato ma non confermato prima dell’uscita del film, funge da motore dell’opera, soprattutto per quanto riguarda un determinato personaggio chiave, ma è proprio questa stessa scelta di sceneggiatura a rendere vana l’attesa degli sviluppi del viaggio di Elizabeth Shaw, la cui storia alla ricerca dell’origine della vita viene interrotta sul nascere e gettata nel cestino dell’indifferenziata. Un film, “Covenant”, che avrebbe dovuto risollevare il prequel per esaltare il sequel, ma che termina il prequel per affossare i sequel.


Cosa è realmente “Alien: Covenant”?
Scott non è rimasto indifferente in questi ultimi cinque anni alle critiche ricevute per l’esperimento di “Prometheus” e il peso della necessita di riportare un progetto sulle sue orme originali si fa sentire eccome. L’autore storico della saga ha voluto proseguire la sua esperienza innovativa, mescolandola al contempo con i cardini del mostro sacro. Il risultato è un’opera mezzana che viene ridimensionata in modo impensabile dalla sua stessa duplicità d’intenti. Non è un seguito soddisfacente di “Prometheus”, non è un Alien. Scott ha tentato di mantenere un registro alto, maturo nella realizzazione di un film che aveva bisogno di un’altra atmosfera e di un’altra regia per avere una possibilità di riuscita, sulla base di una sceneggiatura a tratti imbarazzante. Coesistono quindi i campi larghi e le vallate del film del 2012 con la fotografia, la luce e i cunicoli - presenti quasi unicamente nelle scene finali a bordo della nave madre - della prima quadrilogia. Coesistono senza il minimo senso del gusto, senza la reale necessità della pellicola che questi due mondi si incontrassero.
Ideologicamente vale quanto detto per la realizzazione tecnica: Scott amplia ulteriormente la sua visione, toccando temi religiosi, filosofici, antropologici, ma fermandosi sempre prima di raggiungere un grado di approfondimento interessante, al largo dei bastioni di Orione, limitato della sua stessa creatura, lo xenomorfo, che richiede tutt’altro trattamento per essere valorizzato all’intero di una pellicola.


“Alien: Covenant” è un film realizzato con una certa cura tecnica, una certa fotografia. È un’opera che lascia intendere l’amore che il suo autore prova per la saga di cui fa parte e per il mondo della fantascienza in generale. È una pellicola ricca di riferimenti al brand: richiami visivi e citazioni nello svolgimento dell’azione. MA “Alien: Covenant” non è un film riuscito, tutt’altro. Fallisce nei suoi intenti e crolla sotto i colpi delle aspettative che quel titolo genera. Non è ciò che aspettavamo e non è ciò che avevamo messo in preventivo dopo “Prometheus”; è molto meno. Scivola lentamente verso l’oblio e non dimostra meriti particolari per essere ricordato. Un’enorme delusione.
 
L'unica nota lieta


Quest’analisi arriva a coronamento di un percorso che ci ha portato cronologicamente dal 1979 ad oggi, ripercorrendo la storia e lo sviluppo di una saga storica del cinema. Sei ha apprezzato questa recensione potrebbero piacerti anche:


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