mercoledì 12 aprile 2017

ASPETTANDO COVENANT: ALIENS

Nel 1986 toccò a James Cameron rimettere mano al progetto originale condotto da Ridley Scott. E “Aliens”, seguito diretto del primo capitolo, mutò la sua forma per essere ad immagine e somiglianza del suo regista.


Ripley si risveglia dopo un ipersonno durato ben 57 anni e si trova a dover giustificare gli eventi tragici del primo film di fronte ad una commissione che ha occhi solo per l’aspetto economico. Una compagnia mercantile che antepone la salvaguardia delle merci alla vita di un manipolo di sciagurati. Il pianeta sul quale era avvenuto il contatto con lo xenomorfo anni prima è ormai stato colonizzato, ma qualcosa va storto: viene perso il contatto radio con la nuova colonia e Ripley viene convinta ad accompagnare una squadra di marine spaziali per sventare un’eventuale minaccia aliena.
Se l’incipit di questo secondo capitolo si lega perfettamente al clima della conclusione del primo, tragico e disperato, il momento dell’incontro con l’equipaggio dei marine rappresenta un vero e proprio twist nelle attitudini della pellicola, che vira vertiginosamente verso un genere action fantascientifico con tinte horror. È in questo ambito che James Cameron può sfoggiare tutta la sua abilità registica e la sua minuziosa cura per i particolari, riuscendo ad imprimere nella saga il suo marchio caratteristico. Se da un lato però questa variazione sul tema potrebbe rappresentare un enorme punto a favore per l’ampiezza della portata del fenomeno Alien, dall’altro pesa eccome l’abbandono di una stile ben preciso, fatto di tunnel claustrofobici, dense nebbie e freddi reali. Il passaggio da un singolo Alien a svariate centinaia di Aliens è la perdita dello stile impeccabile di Ridley Scott, e necessariamente delle atmosfere volute esplicitamente dal duo O’Bannon-Carpenter.


A reggere il cambiamento di registro cinematografico sono proprio le motivazione che spingono il gruppo di Ripley, ancora un’iconica Sigurney Weaver, a visitare il pianeta rinominato LV-426: nel primo capitolo l’azione dell’equipaggio della Nostromo nasceva da una richiesta d’aiuto e si muoveva su un territorio sconosciuto, nel suo seguito invece i marine spaziali portano sul luogo la loro dose di maschilismo, di egocentrismo e di violenza inaudita. L’obiettivo dichiarato dei marine è quello di spazzare via ogni forma di vita aliena, ma sarà davvero solo questo lo scopo della missione? Questa svolta action è resa possibile anche dallo sviluppo ipotetico che le armi avrebbero visto nel tempo d’ibernazione della protagonista, passando ad essere strumenti di morte per i soliti xenomorfi. Tale cambiamento produce però anche l’effetto collaterale dell’annullamento dell’aura di invincibilità che valeva per il primo “Alien” e che contribuiva pesantemente a creare quel clima infame di caccia al cacciatore inarrestabile, che avrebbe scovato e sventrato ogni membro della Nostromo, fino all’ultimo superstite. Le poche apparizioni dello Xenomorfo nel film del ’79 lasciavano allo spettatore la certezza dell’evidente destino funesto. Ciò non accade nel seguito, in cui gli alieni soffrono eccome gli armamenti della squadra d’assalto e possono impensierire gli umani contando soprattutto sul numero.
Anche la squadra dei protagonisti non regge il confronto con quella del primo film: nell’opera di Cameron regnano gli stereotipi che portano ad una caratterizzazione banale, scontata, indirizzata fin dalle prime battute ad essere un semplice supporto dell’azione bellicosa. La situazione muta leggermente quando il numero dei protagonisti scende in seguito alla mattanza degli xenomorfi e la scenografia più occlusiva aiuta il film a rientrare nei ranghi di un thriller claustrofobico. Imperdibile la scena dell’arrivo dell’ondata di alieni in cui viene staccata la luce principale della nave e resta soltanto una fioca quanto penetrante luce rossastra che illumina i volti degli ultimi superstiti dello “Scontro finale”.peccato però che questa parvenza di realismo fantascientifico duri il tempo di arrivare al duello decisivo che vede Ripley contrastare lo xenomorfo regina a bordo di un esoscheletro elevatore da carico.


“Aliens” non riesce a bissare l’immensa riserva di spunti narrativi del primo e si concede al pubblico per essere gustato come esagerata epopea galattica. Se “Alien” aveva reinventato un immaginario collettivo, riuscendo a slegarsi completamente dalle logiche del suo tempo, il suo seguito è direttamente figlio degli anni ’80 e vive in funzione di alcune espedienti narrativi propri di quegli anni, ormai obsoleti. L’opera di Cameron resta un grande film d’intrattenimento, che è possibile apprezzare anche senza aver visto il lavoro di Scott. È un peccato che gli sceneggiatori non abbiano sfruttato appieno il calderone di idee lasciato da O’Bannon, trasportandosi invece 57 anni nel futuro per avere la possibilità di un film rumoroso e lineare. Le mancanze di “Aliens” generano ancora più aspettative negli sviluppi della trilogia prequel che arriverà nelle nostre sale il prossimo 11 maggio con “Alien: Covenant”.

Non perdere ogni mercoledì l’appuntamento fisso con la recensione di un capitolo della saga di Alien. La prossima settimana sarà il turno del terzo capitolo, stavolta per la regia di David Fincher, Alien 3.


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