martedì 4 ottobre 2016

FUOCOAMMARE, O L’ESSERE AL DI SOPRA DI ALTRI

Con imperdonabile ritardo ho recuperato uno dei film italiani più discussi dell’ultima stagione cinematografica. Fuocoammare non è un film, non è un documentario. È uno schiaffo, e una carezza. È la cruda realtà che sta oltre le coste e gli sbarchi, ed è la storia di un bambino innocente, che si muove nella sua isola, vive in maniera semplice la sua età e ci dimostra le ipocrisie che si celano dietro l’abito delle occasioni importanti che stiamo indossando. Noi che continuiamo a curarci di noi.


Rosi mostra visi segnati, voci rotte dal pianto, volti senza speranza. I viaggiatori della morte che tentano il salto nel vuoto sono ragazzi della mia età, bambini, donne, anziani. Uomini che hanno visto la fine nel mare e sono scampati ad essa, ma non alla vita che comunque ha vinto. Non sono tutti Siriani, non tutti scappano dalla guerra. Ma sono tutti uomini che hanno attraversato l’Africa per cercare una via di vita. Quanti sono i Siriani nel numero complessivo dei migranti non mi interessa, se una persona, bianca, nera o gialla che sia, ha avuto il coraggio di affrontare, o si è sentita costretta a guardare così da vicino la morte, essa non merita la gogna mediatica a cui sono costrette le persone che arrivano nel nostro paese. Non meritavano la morte coloro che ancora giacciono sul fondo del Mediterraneo o nella comodità di una bara senza vista. Ci troviamo di fronte ad una tragedia umanitaria e le nostre preoccupazioni sono altre, sono economiche, sono secondarie al cuore del problema. Esiste una criticità nella gestione di coloro che cercano salvezza, è innegabile, ma la criticità nasce e si alimenta anche di un’incapacità tipicamente nostrana.


A volte credo che tutto nasca da noi. Da una paura più sporca di quella del diverso, una paura inconfessabile. È la paura di essere inferiori. Abbiamo un tremendo bisogno di essere superiori, perché solo così ci sentiamo bene con noi e con la nostra ristretta comunità plutocentrica. Viviamo nella costante ricerca di un avanzamento nella nostra ideale scala sociale, che si compone di falsi miti, velleità e mancanze nascoste. Ma spesso la scala mondiale non è quella che ci prefiguriamo in mente, e mentre il globo gira, non siamo in grado di dare una spinta al nostro avatar, che perde di visibilità, si incaglia sul fondo della mediocrità. Rimane dunque la soluzione più semplice: se non posso elevarmi al di sopra di qualcuno, per poter dire anch’io di guardare gli altri dall’alto, posso sempre cercare di affossare i più deboli. Posso cercare di evitare con tutte le mie forze che una popolazione universalmente meno considerata raggiunga uno status sociale comparabile al mio. Posso scavare con un’infida pala sotto i piedi di chi barcollando muore. I paesi più poveri dell’Africa, la Siria, l’Afghanistan e tutti i luoghi da cui in questo momento emigrano persone in difficoltà sono diventati per noi, gente perbene, lo slancio sociale per superare il limite dell’ultimo gradino della scala. Oltre il quale c’è il fango, misto a lacrime di sangue nel quale abbiamo relegato un mondo inferiore e dal quale non deve uscire nessuno.


Se prendete una persona e la chiudete in una stanza senza pareti, con il soffitto molto alto, non riuscirete a dirne con esattezza la statura. Non saprete dire se tale individuo sia alto o basso o nella norma. Mettendo invece al suo fianco una secondo individuo, potrete dire molto di più sulle stature dei due. Il mondo non ha finestre, né muri, e noi siamo ricchi perché qualcun altro è povero. Ed è bene che le disparità rimangano tali, per preservare la natura privilegiata di una parte di noi.


Ci troviamo di fronte ad una tragedia umanitaria e stiamo attenti alla carta e al metallo che emette suoni soavi nelle nostre tasche. Abbiamo creduto di difendere i valori, i diritti dei pensionati nostrani, quando stavamo nominando diversamente il razzismo e il classismo. Se quei migranti non fossero stati neri, sporchi e affamati, cosa sarebbe cambiato?



Fuocoammare è questo: una sequenza di toccanti immagini vere che ci mostrano la realtà mortifera che sta dietro discorsi di partito, questioni pecuniarie e oltranzismo interessato. Perché si può essere solo contro di loro, a quanto pare. Ma Fuocoammare è anche una metafora, e sta a voi interpretarla: potreste vederci la fine dell’umanità nella traversata del mare che si fa rosso, oppure potreste scorgere un manipolo di delinquenti pronti a portare disordine e povertà diffusa nel paese che invaderanno. A voi l’interpretazione del “Film strappalacrime della Rai”, perché la realtà è un punto di vista.

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