venerdì 13 maggio 2016

DAREDEVIL E LA DIMENSIONE DEL SUPEREROE

Una settimana fa sono andato al cinema per vedere Captain America: Civil War. Ma questo lo sapete già se avete letto l’articolo di qualche giorno fa in cui cerco di far emergere i problemi del film. Se non l’avete ancora letto, leggetelo qui. Poi però tornate a leggere questo, che è altrettanto importante. Ero al cinema dunque, e pensavo: “Sì, carino è carino, però manca qualcosa”. Effettivamente ho realizzato che, nonostante gli enormi budget, nonostante una programmazione superlativa (quasi quasi da far invidia alla DC - eh Zack?!), alla Marvel cinematografica sembra mancare ancora qualcosa per poter raggiungere la controparte cartacea, e questa eterna tensione al mondo nerd da cui tutto ha avuto inizio potrebbe non giovare alla lunga ai prodotti per il cinema. Questo il mio pensiero durante la visione del film. Poi c’ho ripensato: la Marvel del MCU non punta affatto a ricongiungersi con la Marvel dei fumetti, anzi, ci tiene a far valere il distacco che le sta valendo una schiera di nuovissimi fan con evidenti problemi ad approcciarsi ad una lettura complicata formata da immagini e baloons (immagini grandi, specifichiamolo). I fan del MCU non sono gli stessi dei fumetti, o almeno non solo, ed anche i più insospettabili, dopo lo scetticismo iniziale, si sono avvicinati a questa miniera d’oro. Ciò è stato reso possibile da un nuovo format più semplice, diretto, abbozzato e purtroppo povero di sviluppo a lungo termine. Un modello di cinema che piò funzionare se le aspettative sono basse sotto molti aspetti e se ci si accontenta di entusiasmanti combattimenti ripetuti e prevedibili. E ai fan più puri della Marvel non è rimasto altro che un cattivo fantoccio all’inizio del film o una scena post-credits per gioire e far valere le proprie conoscenze pregresse. Conoscenze che - ricordiamolo - nel migliore dei casi sono costate stipendi, vita sociale, diverse diottrie e qualche volta un rene. Perché le variant cover possono costare assai.


Se quindi la Marvel ha evidentemente scelto di costruire un castello cinematografico stile Disney, prendendo in prestito le basi del mondo fumettistico, che fine ha fatto il mondo cartaceo di Jack Kirby e Stan Lee, di John Romita jr e Mark Millar, di George Perez e John Byrne? Che fine ha fatto lo sviluppo ponderato dei personaggi? Che fine ha fatto quella dimensione umana che emergeva dalle storie coinvolgenti degli anni che furono? La risposta è una solamente: Daredevil.
Daredevil è una serie originale Netflix visibile legalmente (you are a pirate!) solo sulla piattaforma americana. Essa narra delle avventure del Diavolo di Hell’s Kichen, dalla sua formazione al suo apprendistato da vigilante, per poi focalizzarsi, nel corso della seconda stagione, sul vero e proprio operato da supereroe. Ciò che stupisce di Daredevil, volendo forzatamente sorvolare sulla qualità tecnica eccelsa, sulle interpretazioni perfette e sull’ambientazione migliore di sempre in una serie action, è la gestione dei tempi, che a tratti ricorda il miglior Breaking Bad. Nella serie Netflix nulla è forzato e ad ogni personaggio viene dedicato il giusto spazio per lasciare allo spettatore la possibilità di collocarlo correttamente nella ragnatela della narrazione. In questo modo lo sviluppo del protagonista Matt Murdock, della celebre Nelson e Murdock, avviene in maniera graduale, ponderata e finalmente credibile. Un modello distante anni luce dalle raffazzonate trasposizioni sul grande schermo di Thor e Hulk, dall’imbarazzante ruolo dello Shield e dagli ultimi supereroi comporsi come funghi (leggi Pantera Nera). Una gestione delle alternanze tra vita diurna e vita notturna del protagonista così intelligente da rispondere immediatamente alle necessità dello spettatore: entrambe le linee narrative intrecciate mantengono il loro altissimo livello d’interesse e la scena si sposta nello spazio e nel tempo proprio quando la situazione sembra vertere verso la saturazione di informazioni interessanti. Gli sceneggiatori e il regista hanno dimostrato la rara capacità di lasciare briciole di suspance, di non detto in ogni scena, e ciò crea un circolo di dipendenza che alleggerisce incredibilmente ogni episodio, della durata imponente di quasi un’ora.


Tornando ai personaggi, ognuno di loro ottiene uno spazio sufficiente a maturare una caratterizzazione tridimensionale, superiore perfino a quella dei protagonisti dei film del MCU. Ma la più grande innovazione sotto questo punto di vista credo sia la sovrapposizione di storie, strumento impensabile in ambito cinematografico, se non in rarissimi casi (Loki e il bastone maledetto). Le serie Netflix incentrate sui supereroi possono infatti vantare un intreccio ben più complesso che si compone di protagonisti, antagonisti, ambiguità, colpi di scena, ritorni e, come detto, sovrapposizioni. Ci troviamo così ad ammirare in visibilio l’incontro tra Wilson Fisk, villain un po’ umano un po’ palla di lardo della prima stagione, e The Punisher. In questo modo la storyline smette di essere una linea, e comincia ad assumere maggiormente i connotati di una macchia di sangue rosso diavolo che si espande lentamente a partire da una sola ed insignificante goccia, a partire dalla scena in cui il piccolo Matthew perde la vista in seguito ad un incidente.
Questo nuovo modello di televisione ricalca palesemente la struttura propria dei fumetti, che in ogni arco narrativo sviluppano differenti tematiche e situazioni mantenendo pressoché intatti i personaggi principali e l’ambientazione. Quindi, dov’è finita l’anima dei fumetti, che fino a poco tempo fa ricordavo associata unicamente alle serie animate di Spiderman e di Batman? Nelle serie TV moderne. La televisione è la nuova casa dei supereroi cartacei, che tornano in tutto il loro splendore e lasciano intendere quella meraviglia che un tempo teneva incollati gli occhi dei vecchi nerd alle pagine e forse oggi appassionerà un pubblico differente. Un pubblico stanco delle esplosioni e delle battutine infantili del cinema figlio di Die Hard e Bad Boys.

E poi su Daredevil ci sarebbe ancora molto da dire. Potremmo parlare di Stick, di Elektra, di Foggie Nelson e di Karen Page, del confronto sulla giustizia, di Kingpin, dei collegamenti con le altre serie Marvel e della futura riunione. Potrei parlare per ore del Punitore, ma questo era un articolo incentrato sulle scelte di casa Marvel, e quindi finisce qui. Tempo per speculare su Daredevil ci sarà, in attesa della terza stagione o di The Defenders, chi vivrà vedrà. Qualcosa come “Perché la prima stagione di Daredevil surclassa di gran lunga la seconda” può andare? Magari con un titolo più corto e accattivante, magari.

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