lunedì 14 marzo 2016

LAPUTA, IL CASTELLO CORROTTO

Incamminiamoci insieme in un percorso nuovo, inesplorato, vergine. Una strada di campagna con l’erba, fresca di rugiada, alta fino alle ginocchia. Una spianata di verde che rappresenta la fantasia, l’immaginazione infantile. Dopo mesi sono finalmente riuscito a trovare quel tempo che mi mancava per dedicarmi ad un piccolo progetto personale a cui tengo molto e che avevo nella mia mente fin dall’inizio di questa esperienza condivisa. Finalmente comincia questa nuova serie di articoli diversi, più personali, introspettivi e meno preimpostati su canoni stereotipati. Più fanciulleschi, volendo rimanere in tema Ghibli. Da oggi in poi, a cadenza quindicinale, troverete un articolo incentrato su di uno specifico film d’animazione diretto dal maestro Miyazaki e prodotto dal suddetto studio Ghibli. Il tutto congeniato seguendo l’ordine cronologico, in modo da assorbire anche i cambiamenti della persona del regista e intendere implicitamente lo sviluppo della sua posizione in riferimento a determinate tematiche ricorrenti. Gli approfondimenti non devono però essere intesi come recensioni tecniche attente e puntigliose, ma come osservazioni personali sulla poetica, sullo spirito e l’intento dell’opera in questione. Si dia dunque inizio alle danze, a partire da quel Castello nel Cielo che trent’anni fa racchiuse in se lo sviluppo di un culto. E Laputa sia.



Qualche breve accenno di trama per rendere l’articolo comprensibile anche ai meno abbietti al genere e all’autore: in un presente/passato steampunk, in cui i bambini sono costretti a lavorare in miniera sulla scia degli spazzacamino della Londra ottocentesca, una ragazza di nome Sheeta viene rapita e tenuta prigioniera su un’aeronave. Questa viene poi attaccata da un gruppo di pirati aerei e nel parapiglia la protagonista riesce a scappare dalla sua camera, ma finisce per cadere nel vuoto. A salvarla è il potere di una pietra azzurra che portava al collo. La ragazza, svenuta, finisce leggiadra tra le braccia di giovane minatore, il quale dovrà difenderla dall’esercito e dai pirati che mirano a lei per il raggiungimento di Laputa, la misteriosa isola nel cielo.
Prima di dedicarmi a questa personale analisi dell’opera di Miyazaki, mi sono documentato su altre fonti online e ho fatto attenzione alle interpretazioni altrui di precisi simboli utilizzati dal maestro dell’animazione. Spesso ho sentito riassumere l’intera filosofia di questo film in due parole: ecologismo e antimilitarismo. Nella loro semplicità non sono errate, ma restituiscono un quadro striminzito di Laputa che non rende giustizia a molte sfumature profonde presenti nella pellicola. Ogni elemento, anche quello all’apparenza più insignificante, può nascondere una metafora profonda portatrice di riflessioni ancora contemporanee. Il castello stesso, che dà il nome alla traduzione italiana del titolo, ad esempio rappresenta, a mio parere, l’intero pianeta Terra, composto da una componente umana e da una naturale, la quale agisce attivamente sulla parte artificiale attraverso dei robot che, dal fitto muschio che li ricopre, dimostrano di essere elementi invisibili, agenti in incognito, forze della natura che agiscono nel regno dell’immateriale. La flemma usuale di questi robot antropomorfi indica la pazienza innata del mondo naturale che, per quanto possibile, cerca di collaborare con il genere umano, di viziarlo e accompagnarlo anche nelle azioni più discutibili.
Il problema sorge nel momento in cui l’uomo vuole eliminare gli spazi vitali del mondo naturale, ossia della componente verde di Laputa, per accrescere il potere distruttivo dell’isola e quindi sottomettere Gaia al fine di sottomettere il mondo degli spiriti umani. Il potere di poter decidere il confine tra l’uomo e la natura ha fatto così emergere l’avidità umana, di fronte alla quale il verde non può che ribellarsi e provare a contenere l’autodistruzione forzata. Si ha quindi una rivolta della natura contro gli stessi dominatori, padroni di Laputa, che non hanno saputo trovare un equilibrio vantaggioso per tutti. Emblematica è la scena in cui l’erede al trono dell’isola riesce a penetrare nella stanza ultima e si stupisce della presenza di vegetazione. Come in un gioco da tavolo, la Natura ha occupato nuove caselle, nuovo spazio di possibilità per continuare a sopravvivere, tentando di mantenere una sorta di equilibrio con lo strapotere negativo che l’uomo ha esercitato sull’altro uomo. Ciò ha reso l’immagine della gloriosa isola nel cielo corrotta, sporca, indistinta e priva di ordine. Ciò ha fatto emergere le incongruenze di una società intera, che viene poi riassunta nella sola stirpe della protagonista, e ha fatto sì che la situazione trovasse soluzione solo nell’estinzione del genere umano. A rimanere sull’isola sono stati infatti solo i robot, che ancora però tentano di stabilire un contatto con gli uomini attraverso gli omaggi alle sepolture, quasi a voler rimarcare la volontà del cielo di farsi uno con la terra. Se pensiamo all’aeropietra centrale dell’isola come all’essenza stessa del globo terrestre, capiremmo la distanza fisica che intercorre tra le due realtà ad indicare lo spazio siderale che separa la corruzione umana dal compromesso al quale la natura sarebbe pronta a scendere in caso di incontro. Ma gli uomini non hanno intenzione di retrocedere nella loro colonizzazione violenta e mirano tutti, indistintamente dalla loro funzione nel mondo, al dominio dall’altro attraverso lo spazio naturale che li circonda. L’unica persona anziana, gobba e saggia che ha timore del contatto diretto con la pietra è stata relegata nel sottosuolo, a credere di vedere le stelle nelle gocce di rugiada di una miniera. Gli uomini senza scrupoli hanno abolito un progetto di vita pacato e ragionata in preda alla loro auto deflagrazione orami prossima.


La natura invece, a differenza di quanto pensa l’uomo disonesto ed egoista, sarebbe disposta a concedere grandi benefici al nostro genere. Gli aviopirati infatti escono quasi indenni e molto più ricchi dallo spettacolare scontro finale, a differenza dei militari, che invece non puntavano alle ricchezze materiali del castello, ma alle potenti armi di distruzione di massa. Il compromesso naturale sarebbe effettivamente sbilanciato a favore di un genere umano che invece non si accontenta e pretende anche più di quanto la natura riuscirebbe mai a garantire.
La parola distruttrice utilizzata da i due protagonisti in uno spettacolare ed emozionante finale potrebbe essere intesa come la purificazione del mondo nell’autodistruzione, ma l’esito dell’opera va contro le aspettative di tutti e la pietra rientra ne suoi cardini di levitazione dopo una spoliazione assai significativa: come detto i precedente, l’isola volante che rappresenta l’intero pianeta è composta da due realtà distinte che si integrano in maniera discreta. La parola distruttrice ha lo scopo di ripulire la natura dalle scorie di una civiltà passata per tornare a far giganteggiare uno fronda maestosa e respirare delle radici infinite, oppresse e oscurate, lontane dalla luce del sole e dalla frescura della terra. La liberazione della natura dal dominio egoistico dell’uomo rappresenta l’unica via di sopravvivenza per il mondo verde, nonostante questa pratica drastica comporti ingenti danni alla componente umana. Quando la notte è vicina la parola distruttrice pare essere l’unica via.



Da questa analisi emerge quanto in realtà l’antimilitarismo sia solo un sottofondo animato che risulta funzionale più alla trama dell’opera che al messaggio dell’autore. A mio parere l’aspetto ecologico invece non si presenta in maniera sterile come parrebbe da qualche interpretazione, ma appare molto politicizzato e, se preso per il giusto verso, invita ad una nuova consapevolezza del rapporto bilaterale con la Natura in modo da ottenere un doppio vantaggio. Il maestro Miyazaki prova a spronare un pubblico infantile attraverso una propaganda celata ed edulcorata e uno più adulto mediante una semina infinita di metafore intelligenti e mature che purtroppo in pochi hanno il piacere di cogliere e condividere. La natura non è contro l’uomo, e forse l’uomo non si schiera mai direttamente contro la natura, ma l’uso violento che l’uomo vorrebbe fare del potere naturale porta inevitabilmente i robot ad assumere un atteggiamento ostico, e lo scontro non potrà mai terminare se non con l’estinzione dell’uomo dal Castello nel Cielo. E se volete davvero credere a quel Castello che si staglia dietro il ciclone, abbiate il coraggio di fare un passo indietro.

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