martedì 12 gennaio 2016

DOVE MUOIONO I SOGNI

È facile pensare che tutto il mondo sia uguale, generalizzare e rendere tutto comprensibili agli occhi della nostra inesperta e limitata anima, ma non è così, o almeno, così facendo si rischia di non comprendere realtà molto lontane dalla nostra, sia geograficamente che culturalmente. Dal punto di vista dei diritti ad esempio noi Italici possiamo ritenerci fortunati (e anche per questo bisognerebbe onorare ogni anno con lo giusto spirito il 25 Aprile, anziché dibattere ancora su fascismo e antifascismo) rispetto ad altre popolazioni più oppresse, socialmente arretrate e purtroppo abbandonate a loro stesse, al loro assente presente e futuro.


I diritti sono molti. Esiste il diritto di crescere, quello di avere un impiego fisso, quello di esprimere la propria opinione liberamente, quello di difendersi dalle accuse altrui in un tribunale che faccia valere le stesse leggi per tutti, ma soprattutto esiste il diritto di sognare. Un uomo può venire privato di tutto, ma non del diritto a sognare. Senza tale diritto chiunque muore dentro, non ha futuro. Esiste un posto nel mondo dove muoiono i sogni e gli uomini sono costretti a vagare come involucri vuoti “tirando avanti lontano dai guai in attesa del giorno in cui morirai”. Questo luogo è Ciudad Juarez, o semplicemente Juarez, città messicana assai popolosa situata al confine con gli Stati Uniti, nonché culla degli eventi narrati in Viva La Vida (titolo oltremodo abusato, ma pur sempre accattivante e, in questo caso specifico, decisamente azzeccato). La graphic novel in questione, scritta e disegnata dai vignettisti francesi Baudoin e Troubs, narra di un viaggio fatto dai due autori nel Messico del Nord alla scoperta di un mondo sconosciuto e incomprensibile per uomini del vecchio continente. I due, nel loro viaggio, arrivano anche a visitare la suddetta Juarez, città riconosciuta come la più violenta al mondo nel triennio dal 2008 al 2011 e che tuttora stanzia stabilmente tra le prime cinque. L’opera si presenta esattamente come un reportage giornalistico che scava, con poca retorica, nella vita magra e arida degli ultimi tra gli ultimi, di quelli che rischiano la vita ogni giorno per un tocco di pane, di quelli che hanno perso i loro cari e ora sono soli in mezzo a sanguinolente e spietate lotte di cartello. I due autori hanno impostato il loro viaggio sullo scambio alla pari tra un sogno e un disegno: ogni persona che incontrano può raccontare loro un sogno celato per ricevere in cambio un ritratto. La potenza della china (town) che non cesserà mai. In questo modo i due fumettisti sono riusciti a portare a casa varie testimonianze che commuovono e restituiscono un’immagine cruda della vita nella città messicana. Alcuni sognano la fine delle guerre tra clan, altri di rivedere i loro cari scomparsi, altri ancora di sopravvivere ancora un giorno sperando che domani sia migliore di ieri, anche se non è mai così. Emerge anche il controverso rapporto che gli abitanti di CD Juarez hanno con la loro città d’origine: alcuni vorrebbero abbandonarla senza pensarci due volte ma sono bloccati dalle scarse finanze e dalle responsabilità che hanno assunto nel tempo con la città stessa, altri non lascerebbero mai quell’inferno, ma darebbero la vita senza pensarci di volte affinché la situazione cambi finalmente in meglio.


Come lascia intendere la copertina poi, molto spazio nella graphic novel è dedicato al mondo femminile. Sfruttamento, abusi, stupri, violenze, ingiustizie. Il Medioevo era più civile, aperto e rispettoso nei confronti del gentil sesso. Fortunatamente comunque l’opera si conclude con un meraviglioso inno alla vita: nonostante tutte le difficoltà e nonostante la coltre oscurante che annebbia il futuro di una popolazione, tutte le persone intervistate anelano disperatamente alla vita, ad una vita ricca di sogni e soddisfazioni, ad una vita libera.

Tutto ciò per chi? Chi ci guadagna alle spalle delle persone che muoiono in un lago di sangue in mezzo ad una via malfamata? Da Juarez si può vedere il confine, la frontiera con gli Stati Uniti, simbolo di libertà e giustizia fin dai tempi delle tredici colonie, e proprio il governo a stelle e strisce ha interesse perché le faide e i soprusi continuino in Messico, oltre ovviamente ai cartelli che continuano la loro opera di arricchimento a spese di molti. Pochi a spese di molti. È giusto tutto ciò? È giusto che un bambino nato a Juarez e un bambino nato negli States, ossia a poche miglia di distanza, abbiano diritti così diversi? È giusto che il mondo sia così diverso nell’umanità e così uguale nell’odio razziale? Quando un neonato viene alla luce dovrebbe godere di molti diritti, ma soprattutto di quello di sognare e di poter essere chiunque nella vita; la libertà non va negata, va concessa, estesa. L’uomo nasce libero e fino alla fine deve essere libero di sognare. L’uomo sogna di volare.

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