lunedì 23 novembre 2015

QUANTO CI MANCAVANO I DIGIMON

Ho maturato l’idea che l’uomo sia un essere limitato per natura, e ciò lo porta inevitabilmente a catalogare sommariamente e metodicamente il mondo che lo circonda per poterlo in parte capire e per poter interagire con esso. Il problema nasce dall’evidente discrepanza tra le facoltà umane e la natura, evidentemente superiore. In questo modo il soggetto può sì interagire con il mondo circostante, ma lo farà sempre attraverso un filtro che gli impedisce di cogliere la vera essenza della vita che scorre attorno a lui. Per questo motivo, già da un po’ di tempo, ho deciso di limitare il più possibile l’uso di etichette limitanti e di ragionare senza giudicare a priori le situazioni in cui mi trovo, le persone con cui ho a che fare. Ammetto di trovare delle difficoltà, ma la certezza della validità di quest’idea mi spinge ogni giorno a perseverare in quest’epochè radicale degli usi e dei costumi umani. Tutto questo per dire che, nonostante i miei sforzi atti ad eliminare ogni sorta di categorizzazione nella mia mente, esiste in me una divisione che ancora non riesco ad eliminare. Rimane radicata nonostante tutti i miei sforzi. Ancora divido il mondo tra coloro che hanno visto i Digimon (rigorosamente la prima serie) e coloro che non lo hanno fatto. Ci sarebbe anche un’ulteriore sottocategoria della seconda, ovvero coloro che alla parola Digimon rispondono con “Che?!? I Pokemon intendi?”; ma di questi non parleremo. Questi dovrebbero solo finire a fare compagnia a Lucifero, non chiedo molto.


Se quella antecedente era stata indubbiamente la generazione Dragon Ball, la mia è la generazione Digimon. Avevamo appena cinque anni quando fu mandato in onda sulle reti Rai per la prima volta (quando ancora la Rai tentava di accaparrarsi qualche esclusiva interessante), ma credo fu l’estate successiva a rappresentare il vero apice della popolarità dei coloratissimo mostri digitali, quando la serie venne riproposta alle 8:30 su Rai 2 in piena estate, cioè quando i bimbini sono liberi da impegni scolastici e passano giornate intere davanti ad un televisore. La mia famiglia in realtà, come ogni anno, quell'estate aveva affittato un ombrellone al lido Miramare, ed io ero sempre l'elemento ritardante per la truppa dovendo finire di vedere la puntata. Un attaccamento morboso simile a quello che le casalinghe disperate provavano per Beautiful più o meno negli stessi anni.
E quindi, perché questo momento nostalgia? Perché ripescare dal fondo del cilindro la prima stagione di una serie ormai decaduta? Perché i creatori hanno deciso di accantonare i mecha e le fusioni umani-mostri per ridare al pubblico attempato una nuova gioia, una nuova stagione incentrata sulle avventure dei primi digiprescelti, ma ambientata circa otto anni dopo la drammatica conclusione di Digimon Adventure. Un paio di giorni fa è andato finalmente in onda il primo film della nuova serie, Digimon Adventure Tri. "Film" perché poi hanno optato per creare una serie composta da sei film da proiettare nelle sale nipponiche nell’arco di un paio d’anni. Scelta opinabile, ma tant’è; ne riparleremo.


Una volta appresa la notizia, dopo aver rotto il soffitto con la testa, mi sono rituffato nella visione della prima storica stagione per rinfrescarmi la memoria e sinceramente per verificare con mano le impressioni che tale cartone animato (perché all’epoca erano ancora cartoni animati) mi aveva lasciato. Prima di cominciare la visione, avevo paura di sbagliarmi, avevo paura che le mie vecchie sensazioni venissero cancellate dal tempo e rimpiazzate con adulta indifferenza, e invece no.
Confermo: la prima serie dei Digimon è e resterà un classico per la mia generazione, e non mi capacito di come i creatori e i responsabili del brand abbiano affossato una serie con potenzialità così palesi attraverso scelte di marketing evidentemente molto sbagliate. Una tale miniera d’oro e di sogni crollata perché si scavava tra le fondamenta erodendole anziché cercare l’oro. I punti a favore dei Digimon sono moltissimi e tutti validi, ma vorrei soffermarmi su tre in particolare: le tematiche mature, la trama coinvolgente e i mostri digitali stessi. A differenza di molte altre serie animate destinate ad un pubblico molto giovane, infatti, i Digimon proponevano delle tematiche profonde e complesse come la nostalgia dei luoghi natii, l’amore, l’amicizia, la morte e la resurrezione, l’abbandono, la solitudine e la paura, la crescita. Temi pesanti se pensati in relazione ai destinatari del prodotto, ma nonostante ciò i bambini erano accompagnati per mano dalle immagini nella scoperta di questi concetti. Tutto veniva presentato al momento giusto e nella maniera corretta, senza appesantire eccessivamente il cartone, magari andando a discapito dell’intrattenimento e del divertimento. Queste tematiche interessanti avevano però bisogno di una struttura solida per poter arrivare in maniera chiara e funzionale ai bambini. Ecco dunque la trama che ancora oggi ricordiamo a memoria. I bambini prescelti e i loro Digimon riescono ad entrare immediatamente in sintonia con il pubblico e ciò porta ad un’immedesimazione che cresce sempre più con  il prosieguo della storia. I protagonisti vengono strappati dalle loro abitazione e trasportati contro la loro volontà sulla celeberrima Isola di File. Qui dovranno fare i conti con i mostri influenzati dai Black Gear e con loro stessi, con i loro sentimenti. E poi Etemon, il deserto, le digievoluzioni, i digimedaglioni, il mistero sulla loro predestinazione, i contatti con il mondo reale, la sovrapposizione dei due mondi e i Digimon dimenticati. Il giovane telespettatore diviene un vero e proprio digiprescelto grazie all’immedesimazione, tanto che io stesso pensai mi sarebbero venuti a prendere quando, verso la metà della serie, i protagonisti tornano nel mondo reale per fermare Myotismon e trovare l’ultimo componente del loro gruppo. Altro che lettera di Hogwartz, io sto ancora aspettando Tai e Izzy in camera mia. Venite presto.


E poi ci sono loro: i Digimon. Agumon, Gabumon, Patamon, Gatomon, Tentomon, Gomamon, Biyomon, Palmon e tutte le loro digievoluzioni. Meravigliosi, coloratissimi e perfettamente accoppiati ai bambini prescelti. Protagonisti tanto quanto la loro controparte umana. Erano loro a rendere l’intera serie accattivante, divertente e movimentata. Ripetitiva nella struttura narrativa (soprattutto nella prima metà dell’opera) senza mai perdere di vista lo sviluppo della trama e dei personaggi. Semplicemente il connubio perfetto tra serializzazione e merchandising legato ai giocattoli dei vari mostri. Anche se devo confessare che come Angemon non ce n’è, mi spiace per tutti i sostenitori di Metalgraymon  e Omnimon.
Ma la vera ciliegina della prima serie dei Digimon è forse il finale: fantastico, insuperabile. Nel 2001 piansi a dirotto quando l’autobus prese il volo per lasciare definitivamente Digiworld separando dunque bambini e mostri, ma devo dire che la mia reazione qualche giorno fa non è stata da meno. Pensare che un’avventura così immensa e formativa debba finire è un gran dispiacere. Mi dev’essere finito qualcosa nell’occhio. Sigh.

Questi e molti altri i motivi della genesi del mito. E ora ci risiamo. Ora ritorniamo sull’isola di File a combattere e a crescere ancora. Aspettatevi quindi altri due o tre articoli in cui parlerò della nuova serie, del confronto con i Pokemon e di tante altre avventure legate al mondo digitale che, stavolta per davvero (non come per Dragon Ball Super), ci mancava non poco.

Mamma, dove hai messo il digivice?

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