sabato 21 novembre 2015

COMMENTO THE KNICK 2 - EPISODI 4 E 5

La piccola grande creature di Soderbergh è in lenta ma costante crescita. Il che fa sperare in un climax ascendente che porti la seconda stagione quantomeno a livello della prima. Rispetto al secondo e al terzo, il quarto e il quindi episodio delineano finalmente una trama di fondo che riesca a colpire e ad appassionare lo spettatore. I momenti migliori di questa doppia puntata li abbiamo infatti quando l’attenzione della macchina da presa (impugnata dispoticamente dallo stesso regista) si sofferma sul protagonista della serie e sui personaggi che sono legati a lui in maniera più diretta. Più una sottotrama è vicina e coinvolge Thack, più questa risulta appetibile ed interessante. Il problema sorge quando la narrazione indugia su storie lente e scontate come le disavventure della suora infanticida o la vita di coppia dell’immorale Barrow.


Va però riconosciuto che, a volte, gli sceneggiatori sono anche riusciti ad introdurre sottotrame interessanti come la nuova vecchia moglie di Edwards o le uscite serali dell’infermiera Lucy. Spero che il medico nero più amato dell’East coast riesca a liberarsi della fastidiosa (ma giustificata) donna sposata in un attimo di distrazione. Chi di voi non sposerebbe una ragazza in un momento di euforia? Sono invece abbastanza felice per l’infermiera-ginecologa che finalmente sembra essersi allontanata dalla figura negativa ed ingombrante del primario, ma avrei preferito che, al posto del belloccio rampollo, ci fosse il simpatico e non più innocente Bertie. Bertram che intanto sta silenziosamente rubando la scena a tutti gli altri protagonisti attraverso la trama meglio calibrata, scritta e strutturata. Fondere insieme elementi di novità derivati dal suo trasferimento, l’amore per un’adorabile ed esilarante reporter ebrea, il dramma della madre e la ricerca storicamente credibile sulla radioterapia e sull’adrenalina contemporaneamente non era, sulla carta, semplice da realizzare, e invece la storia del giovane medico scorre piacevolmente e tutto sembra poter diventare con il tempo la colonna portante dell’intera serie. Una sorta di passaggio di testimone tra Thackery e Bertie che non mi auguro, ma che a questo punto potrebbe verificarsi, viste le premesse.


In ogni caso considero il quinto episodio il migliore della seconda stagione finora in quanto è riuscito abilmente a mescolare la vita ospedaliera con le storie personali dei vari protagonisti; ci ha mostrato nuovamente un Thack catturato in toto dalle sue ricerche (che mi parrebbe non siano andate a buon fine) e ha ristabilito un ordine gerarchico parzialmente accantonato nel terzo episodio. Altro enorme punto a favore di questa doppia puntata è stata la comicità ritrovata. Dopo qualche passaggio a vuoto siamo infatti tornati a ridere come non facevamo da tempo all’interno dell’ospedale in cui non vorremmo mai capitare. Black comedy pungente che si avvicina in parte a quella insuperabile di Fargo (la serie, quella che dovrei commentare di tanto in tanto - quando trovo tempo).
Thack invece, oltre a rendere i propri pazienti delle comparse di quel quentiniano film sui nazisti, pare aver riallacciato i rapporti con la ragazza dal naso alquanto stano, anche se la nuova modalità d’assunzione delle droghe gli permette di non essere scoperto da Lucy durante i consueti controlli. Credo che prima della fine avremo un lieve senso di deja-vu e probabilmente sarà l’amore per la sua vecchia conoscenza a trattenerlo dall’andare oltre il tremendo finale della prima stagione. Ma chissà, magari mi sbaglio. Magari questa potrebbe essere l’ultima stagione di Clive Owen.



Ciò che pare chiaro ed evidente, per dirla in termini cartesiani, è che le potenzialità di questo prodotto siano pressoché illimitate, ma, nonostante ciò, rimangono ancora molti dubbi sulla costruzione degli episodi, sulla scrittura e sul bilanciamento dei tempi. Sul finale del quinto episodio (tanto spettacolare nelle scene successive allo scoppio della miniera, quanto ammorbante nella parte conclusiva) ho pensato anche che forse parte della colpa potrebbe essere attribuita alla lunghezza delle puntate che si estende fino a un’ora quando probabilmente, limando alcuni elementi per farla rientrare nei canonici quarantacinque minuti, si otterrebbe un ritmo più costante senza sbalzi sì necessari ma eccessivi. Slegato dalla questione temporale è invece il problema della lentezza nello sviluppo delle situazioni. A mio parere infatti l’evoluzione di alcune sottotrame, probabilmente condizionata dall’eccessivo numero di personaggi e rapporti tra questi, sembra davvero rallentata al limite del sopportabile. Uno snellimento generale gioverebbe all’intera serie, credo. Ma quando arriva il venerdì non esiste altro che il Knick, con tutti i pregi e i suoi difetti.

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