martedì 14 luglio 2015

GENITORI E FIGLI

La società è cambiata. Ad oggi due coppie su cinque si separano e a farne le spese sono sempre i figli, le vere vittime. Essendo una realtà ormai consolidata, molte sono le opere che trattano questo argomento, ma una in particolare ha dimostrato di saper sintetizzare in maniera convincente più sfaccettature legate sia al cambiamento comportamentale dei genitori che alle diverse reazioni dei figli, trattasi de “Il Calamaro e la Balena”, pellicola del 2005 diretta dal regista cult Noah Baumbuch. Il film in questione ha ispirato i Noah and the Whale nella scelta del nome della band e solo questo dovrebbe giustificarne la visione.


Il regista statunitense dirige un film indipendente (prodotto tra gli altri da un certo Wes Anderson, non so se vi dice qualcosa il nome) nel quale mostra discrete abilità tecniche e una buona capacità di scrittura confezionando un prodotto intenso, simbolico, riflessivo e mai banale. Ogni dettaglio ha un suo significato. Baumbuch pennella con maestria delineando delle ombre perfettamente sfumate attorno ai connotati comici del film. Un lavoro che ricorda la minuziosa arte giapponese del '600.
La storia, strutturata ad albero, ruota attorno a due ragazzi medio borghesi di Brooklyn che, circa a metà degli anni ’80, in seguito ad una serie di tradimenti ed incomprensioni tra i genitori, devono affrontare la separazione di questi e tutte le sofferenze e le problematiche che essa comporta. La prima difficoltà che si presenta loro è quella dell’affidamento congiunto e quindi la mancanza di un alloggio fisso per Walt e Frank Berkman, il primo interpretato da un esordiente Mark Zuckerberg.
Fin dalle prime battute si capisce l’atteggiamento che i due figli assumono nei confronti dei genitori: se il più piccolo tende a rifiutare l’ingombrante figura paterna, il più grande si identifica in questa idolatrandola ed emulandola. Walt tenta con discreto successo di copiarne atteggiamenti, gusti ed abitudini. La figura centrale dell’intero film è infatti il padre: misogino scrittore fallito sul lastrico, ancora convinto della validità delle sue opere, del suo atteggiamento superbo nei confronti del Mondo, della razzista divisione delle persone in letterati e filistei. Questa figura fastidiosa, approfittatrice e a tratti viscida, porterà i due fratelli ad allontanarsi sempre più; ma, come ci si potrebbe aspettare, nessuna delle due strade intraprese porterà a qualcosa di positivo, farà solo emergere limiti, problemi e fragilità di ciascuno. Sullo sfondo una madre assente, presa solo dalla carriera letteraria in rampa di lancio e dai tanti uomini della sua vita.
La sofferenza è tangibile. Negli occhi dei due figli si legge la tristezza, lo sconforto, la nostalgia di un nucleo familiare solido e compatto, la mancanza di esempi vicini per costruire un rapporto sano con il Mondo.


Il film coglie nel segno risultando efficace e intelligente, puntando il dito contro quei genitori che mettono i figli in secondo piano. Può essere interpretato come una grande lezione di vita rivolta a coloro che ancora non comprendono l’enorme responsabilità che un figlio comporta. La responsabilità di crescere, correggere e sorreggere un essere umano nuovo finché questo non è in grado di intraprendere, senza eccessivi intoppi, un percorso di vita autonomo. Meravigliosa responsabilità.


Nel film, attraverso l’evoluzione della storia del figlio maggiore, viene poi mossa un’ulteriore critica ancor più specifica e dura verso coloro che immaginano la paternità come un’occasione per plasmare un piccolo essere a propria immagine e somiglianza. I figli sono altri dai genitori. Libertà di essere protagonisti della propria vita. Il finale poi lascia spazio all’interpretazione personale della metafora centrale del film: la splendida ed evocativa guerra tra il calamaro e la balena che dà il titolo all'intera opera. Il tutto sulle note dei Pink Floyd, il che è tutto dire.



La verità è che la nostra società  fin da piccoli ci impone di pensare alla procreazione come passaggio necessario per il raggiungimento di uno status symbol accettabile agli occhi degli altri, ma non tutti nascono per essere genitori. Genitori non si nasce, si diventa, ma alcune prerogative, priorità, sfaccettature dell’anima suggeriscono coloro che sono predisposti a ciò. Poi l’amore cambia tutto. È un discorso irrazionale. Intanto “Stay Together for the Kids”.

Nessun commento: