mercoledì 13 maggio 2015

L’ULTIMA FRONTIERA

La storia delle serie tv affonda le sue radici negli anni ’50 quando venne prodotta la prima sitcom in assoluto: “I Love Lucy”. Questa, nonostante il budget risicato, ottenne un enorme successo di pubblico e spalancò le porte a quel fenomeno televisivo che oggi sta spopolando sia oltremanica che nel vecchio continente. 


Passando per Batman, con quell’Adam West tanto parodiato da Seth Macfarlane, il capitano Kirk e Fonzie si arriva agli anni ’80 in cui vennero gettate le basi per la rivoluzione dei serial del decennio successivo. È infatti negli anni Novanta che si manifesta in tutte le sue potenzialità il fenomeno delle serie tv. Ricordiamo i Picchi Gemelli di Lynch (di cui dovremo assolutamente discorrere un giorno, presto, molto presto *facciaghignanteemalefica), suo figlio X-Files, Friends, i gialli di Matt e 90210.


In questo periodo i serial smettono di essere cinema di serie b e cominciano ad assumere dei connotati ben precisi che rappresentano ancora oggi canoni fondamentali per la buona riuscita di un nuovo prodotto televisivo. Si arriva poi ai giorni nostri in cui tale format ha ormai raggiunto, se non addirittura superato, il suo corrispettivo cinematografico. La vera rivoluzione verificatasi sta nel classico triangolo pubblico - guadagni - investimento: le serie hanno ottenuto nel tempo sempre maggiori consensi che si traducono in maggiori guadagni, e i grandi produttori televisivi sono riusciti a reinvestire questi guadagni e a far elevare il livello dei prodotti stessi, riscrivendo i canoni che avevano portato il successo agli albori del fenomeno. Questione di soldi e di idee insomma. L’esempio più lampante degli enormi budget di cui dispongono le serie tv è Friends: DIECI (O.O) milioni di dollari ad episodio (ciascuno della durata di soli venti minuti).


Negli ultimi anni è poi salito alla ribalta il fenomeno delle miniserie, un buon connubio tra cinema puro e serial. Nuovo format che ha saputo portare linfa vitale al settore e ha saputo dare la spinta definitiva alla televisione verso nuove frontiere. L’allievo che supera il maestro.


È a questo filone che appartiene l’opera in oggetto oggi, ossia “True Detective”, miniserie di 8 episodi del 2014 scritta dal giallista Pizzolatto e diretta da Fukunaga. La trama ripercorre le vite dei due protagonisti, Rust e Marty, detective alle prese con una complicata caccia ad un serial killer durata quasi venti anni. L’intreccio funziona alla perfezione. La narrazione parallela tra il ’95 e il 2012, anno in cui viene riaperto il caso, mantiene sempre alta l’attenzione dello spettatore e dà la possibilità di approfondire la psiche dei personaggi principali attraverso l’evidente evoluzione umana che questi subiscono nei vent’anni che intercorrono tra le due linee temporali dell’intreccio. Il thriller psicologico per eccellenza. I punti di forza però non risiedono solamente nella trama e nello sviluppo di questa, ma anche nei personaggi e nella realizzazione tecnica. I due attori protagonisti dimostrano qualità da Emmy, specialmente Rust, interpretato da uno straordinario Matthew McConaughey che riesce a superare se stesso, cioè l’interpretazione in “Dallas Buyers Club” che lo aveva consacrato definitivamente al grande pubblico e qualche premio glielo aveva fatto vincere (*coffcoffoscar). Ogni sguardo carico di straziante sofferenza, ogni espressione del volto, ogni battuta breve recitata con una roca e flebile voce, ogni monologo profondamente nichilista. Ogni aspetto che riguarda Rust è un capolavoro; brividi dall’inizio alla fine. Il nuovo standard per la caratterizzazione dei personaggi nelle serie drammatiche.


La regia e la fotografia rendono poi True Detective un capolavoro indiscusso. Fukunaga dà prova delle sue straordinarie abilità coniugando con precisione introspezione e azione, sovrannaturale e suspance da noir. Cura maniacale in ogni piccolo dettaglio. Il piano sequenza della retata alla fine del quinto episodio è da antologia, farà stropicciare gli occhi dalla meraviglia al cinefilo che è in voi. Superamento degli standard classici e consolidati per le serie tv. Scene memorabili che rimarranno sicuramente nella vostra mente per molto tempo. Opera indimenticabile.


L’arte è soggettiva, o meglio lo è il gusto artistico, ma questo piccolo capolavoro, forse poco valorizzato dai vari Emmy e Golden Globe, entra di diritto nell’olimpo dei serial e del cinema in generale. L’”Amore e Psiche” delle serie tv. Piacevole levigatezza al servizio di un intrattenimento profondo e maturo che vi trasporterà in un turbinio di misteri e sentimenti struggenti e realistici.
Il cinema, quello vero, è arte.


E in Italia? Beh in Italia c’è Don Matteo

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